I nostri soci raccontano: i semai italiani, il Giappone e una mostra

La ricerca di informazioni, sovente, apre nuove porte con scoperte affascinanti, a volte imprevedibili a volte illuminanti con sprazzi di memoria. Curiosando tra le pagine web ho trovato notizie interessanti, infatti ho appreso del commercio dei semai italiani. 

Chi sono i semai? 
Sono setaioli specializzati che, dopo l'epidemia di Pebrina, responsabile della devastazione delle colture di bachi da seta nel Nord Italia, avevano l'incarico di cercare, lontano dal Mediterraneo, uova di bachi sani. Verso la metà dell'800, la Pebrina sconvolse gli allevamenti del baco distruggendo la produzione del filo da seta e i semai percorsero molte strade fino ad arrivare in Giappone dove poterono fare rifornimento di bachi sani e resistenti. 

Carlo Orio fu uno dei più noti semai italiani; attraverso i suoi numerosi viaggi, divenne un tramite tra Oriente e mondo artistico lombardo. La sua competenza e conoscenza dei canali di commercio lo resero persona di fiducia per l’acquisto di prodotti serici. Anche alcuni setaioli piemontesi sfidarono mille difficoltà e lasciarono testimonianze scritte di particolare interesse, come diari di viaggio o raccolte di memorie. Vanno ricordati tra gli altri Pietro Savio di Alessandria, Giovanni Battista Imberti di Racconigi e il Conte Sallier de La Tour. Il Conte svolse un importante ruolo nell'intessere rapporti tra l’Italia ed il Giappone, che lentamente stava uscendo da secoli di isolamento.

La lavorazione della seta
Nasce in Cina già nel 3000 a.C. Le vesti realizzate con questo filato sono riservate agli imperatori; in seguito diventano un bene di lusso molto ricercato per le qualità di leggerezza e bellezza. Sorprende pensare che una piccola bestiola affamata riesca a produrre un filo lungo, sottile e prezioso. Cinesi, Giapponesi e Italiani si sono specializzati nel tempo per ricavare da questo filo un tessuto impalpabile, per molto tempo appannaggio dei più facoltosi. Le sue caratteristiche di morbidezza, brillantezza e piacevolezza al tatto ne fanno un prodotto di qualità.
   
Una leggenda 
Si racconta che monaci agli ordini dell'imperatore Giustiniano furono i primi a portare a Costantinopoli delle uova di baco da seta nascoste nel cavo di alcune canne, dando di fatto inizio alla Via della Seta. 
In Giappone la seta diventò il tessuto per eccellenza dei kimono con motivi decorativi a colori, ora stampati, ora dipinti o ricamati. Motivi che enfatizzano l'amore per la Natura dei Giapponesi.


La mostra
Tra le varie mostre dedicate, in questo periodo, alla Cultura Giapponese ne ho scelta una che ha solleticato la mia fantasia; non ne ero sicura, ma mi auguravo di ritrovare il mio filo di un bel viola brillante, come la seta. Finalmente sono riuscita ad organizzare la gita a Caraglio, un piccolo borgo in provincia di Cuneo, dove è stato trasformato in museo un antico setificio risalente ai primi del '700.*

I kimono
Nello spazio espositivo del Filatoio Rosso sono in mostra oltre 100 kimono, del periodo Meiji (1868-1912), del Taishō (1912/1926) e dello Shōwa (1926/1945), della collezione privata di Nancy Stetson Martin, un'artista poliedrica che, inviata in Giappone per studiare i decori per le stoffe d'arredamento, si innamora dei kimono e inizia la sua collezione; raccoglierà più di 700 pezzi in oltre 40 anni.

La bellezza dei kimono in mostra è evidenziata dalle decorazioni a fiori, foglie, insetti, animali, montagne e onde impetuose tipiche dei paesaggi giapponesi così legati alla Natura, dove il succedersi delle stagioni sottolinea l'armonia con l'essere umano, sua parte integrante.
Le sale si susseguono e il visitatore coglie con uno sguardo d'insieme una cultura visiva poetica, i cui decori e segni grafici antichi sono ancora oggi fonte di suggestioni per design e moda, arte e grafica.
Entrando nella prima sala eccolo: è lì che mi aspetta, nella teca sono esposti alcuni Obi , uno dei quali su fondo viola! Che meraviglia.

Le fodere
Le fodere interne di alcuni kimono rivelano la meraviglia nascosta di dipinti a china, testimonianze rare perché l'inchiostro nel tempo può provocare la polverizzazione della seta. E il viola domina con varie sfumature, ora in evidenza ora nascoste, ma sempre per me fonte di emozione. Il gusto di Nancy è estremamente coinvolgente, la sua scelta è accurata e abbraccia molti aspetti estetici. Parecchi kimono sono color indaco e stanno ad indicare l’acqua, elemento vitale per il Giappone, circondato dal mare, ricco di fiumi, laghi e sorgenti calde, con abbondanti piogge e nevicate. I suoi abitanti hanno enorme rispetto per questo elemento naturale a cui la storia, la religione e la filosofia hanno attribuito una forte valenza simbolica.


L'indaco Ai-zome è stato a lungo utilizzato per tingere in quanto, oltre a dare molte sfumature dall'azzurro più chiaro al blu/nero più intenso, era facile da reperire e poco costoso. La pianta Indigofera tinctoria, che dà il pigmento colorante, viene essiccata, fatta fermentare e ossidare dai contadini. Le stoffe colorate con questo pigmento durano a lungo; in caso di rottura venivano ritagliate e cucite insieme, dando vita ad altri tessuti chiamati Boro, un tipo di patchwork cucito a piccoli punti Sashiko.


L'allestimento
La mostra di Caraglio è allestita con cura, i kimono, appesi su bambù posti a diverse altezze, creano una sorta di quinta mobile che accompagna nella visita, sottolinea i volumi e suggerisce gli spazi del corpo che la stoffa del kimono, tagliata dritta, nasconde con grazia. Mirabili dettagli di colore, forme geometriche, grafiche, emblemi familiari e decori danno vita a un attualissimo racconto per immagini, in cui si riconoscono le fasi lunari, lo sbocciare di una pianta, il risveglio delle formiche, la rugiada notturna...


Gli oggetti esposti non si possono toccare per non danneggiarne la stoffa, ma è stata per me una gran fatica trattenermi dal passare le mani per sentirne la morbidezza. Ho però potuto fotografarli, e questo mi ha permesso di condividere con chi legge la bellezza che mi è rimasta negli occhi e nel cuore.

* Y kimono now, mostra presso il Filatoio di Caraglio, Via Giacomo Matteotti, Caraglio (CN). La mostra è visitabile fino al 19 novembre.

Anna Massari